Diabete e malattia di Alzheimer. Due patologie all’apparenza indipendenti ma con un nesso fisiopatologico importante. Tanto che da qualche anno ci si riferisce alla malattia di Alzheimer come a un diabete mellito di tipo 3.
La malattia di Alzheimer
La malattia di Alzheimer (AD) è una patologia neurodegenerativa caratterizzata dalla progressiva perdita di memoria, declino delle capacità cognitive, cambiamenti nel comportamento e nella personalità che colpisce prevalentemente le persone sopra i 65 anni. L’aumentata incidenza di questa patologia sembra dovuta alle sempre più frequenti complicanze del diabete mellito di tipo 2 (DMT2), patologia caratterizzata da iperglicemia e resistenza all’insulina.
Diabete e Malattia di Alzheimer: l’insulina
L’insulina è un ormone importantissimo, viene secreto in seguito all’ingestione di carboidrati per mantenere la quantità di zuccheri nel sangue in un range ottimale. Ciò è possibile poiché l’insulina è in grado di permettere il passaggio dello zucchero dal torrente circolatorio all’interno delle cellule. Ormone anabolico per eccellenza, espleta numerosissime funzioni all’interno del nostro organismo interagendo con diversi sistemi che possono sembrare anche molto lontani tra loro, come ad esempio i meccanismi che regolano la funzionalità ovarica e il senso di sazietà.
Sappiamo che l’insulina a livello cerebrale gioca un ruolo cruciale nella formazione delle placche neuritiche che caratterizzano la malattia di Alzheimer’s, questo perché coinvolta nella plasticità sinaptica e nella regolazione delle funzioni cognitive. Non a caso, i recettori per questo ormone sono maggiormente espressi nell’ippocampo, nell’ipotalamo e nella corteccia cerebrale, zone deputate alla memoria e all’apprendimento.

Si è visto che iniezioni elevate di insulina contribuiscono a migliorare le performance nei test cognitivi e di memoria, ma elevati livelli di insulina nel tempo hanno l’effetto opposto. Questo è ciò che accade esattamente nel diabete mellito di tipo 2, in cui iniezioni isolate di insulina migliorano l’assorbimento dello zucchero, ma l’iperinsulinemia cronica porta a iperglicemia.
Livelli elevati di insulina a livello periferico diminuiscono la sensibilità all’insulina a livello centrale e aumentano l’utilizzo di zucchero nel cervello. Sembra una cosa da poco ma non dimentichiamo che il cervello utilizza fino al 60% dello zucchero circolante. Il cervello possiede quindi il carburante per funzionare ma non è in grado di utilizzarlo. Ciò che succede è che in assenza di carburante alternativo i neuroni affamati abbassano la loro attività metabolica. Se lo associamo ad un’alta quota di carboidrati giornaliera con acidi grassi saturi e uno scarso bilanciamento di sostanze antiossidanti abbiamo uno stress ossidativo importante per il cervello che porta a un processo di infiammazione diffusa. Il bilanciamento ottimale del carico glicemico dei pasti è in grado nel tempo di ridurre questo stato infiammatorio, ripristinare la sensibilità all’insulina e ridurne i livelli circolanti.
La dieta ottimale resta quindi la nostra prima strategia di prevenzione.
Erica Rosati
Erica Rosati, biologa, si laurea nel 2013 in Scienze Erboristiche e dei Prodotti della Salute, classe delle lauree in Scienze e Tecnologie Farmaceutiche, all’Università degli Studi di Parma. Si laurea poi con Lode in Scienze della Nutrizione Umana, curricula Nutraceutica al San Raffaele di Roma con una tesi dal titolo Ruolo del Microbioma nella Tolleranza Alimentare e possibile utilizzo di Nutraceutici nella modulazione della Risposta Immunitaria. Esercita la professione di biologa nutrizionista nel suo studio di Traversetolo, in provincia di Parma.