Retina artificiale impiantata al Gemelli a un uomo di 70 anni non vedente. Al risveglio dopo l’intervento l’uomo, affetto da una grave forma di retinite pigmentosa, ha potuto, grazie anche all’ausilio di occhiali speciali, intravedere la luce. L’intervento, durato due ore, è stato eseguito dal professor Stanislao Rizzo, uno dei pionieri della retina artificiale, direttore della UOC Oculistica della Fondazione Policinico Universitario Agostino Gemelli e Ordinario di Clinica Oculistica all’Università Cattolica di Roma. Si tratta del sesto impianto di retina artificiale, il primo in Italia, dopo quelli eseguiti nel 2020 in Israele e in Belgio.
Retina artificiale: il dispositivo
L’impianto, si legge nel comunicato del Gemelli, è di dimensioni minuscole: misura 5 mm di diametro e ha uno spessore di 1 mm. Una volta posizionato sulla superficie della retina, gli elettrodi tridimensionali dei quali è composto, penetrano tra le cellule retiniche, e vanno a prendere il posto dei fotorecettori, attivando coi loro impulsi le cellule ganglionari, che trasmettono l’informazione al cervello, attraverso le vie ottiche. Per attivare i micro-elettrodi 3D il paziente deve indossare degli speciali occhiali che inviano al dispositivo un raggio infrarosso, che provvede ad alimentarlo, attraverso di un minuscolo impianto fotovoltaico di cui è dotato.
Retina artificiale: come si vede
L’impianto, comunicano dal Gemelli, “ripristina una parta della funzionalità retinica, ma non restituisce la vista. Il paziente può tornare a ‘vedere’ la luce immediatamente dopo l’impianto ma in genere il programma di riabilitazione viene avviato dopo un paio di settimane dall’intervento. Questo prevede una serie di esercizi da somministrare al paziente che reimpara a vedere attraverso questa sorta di occhio bionico; viene inoltre effettuato il fine-tuning della stimolazione degli elettrodi per ottenere una visione migliore possibile. Al termine di questo speciale training il paziente riuscirà a distinguere la forma degli oggetti, riconoscere il movimento, imparerà ad interpretare queste nuove immagini, che lui vede in bianco e nero e pixelate; grazie alla plasticità neuronale infine il cervello imparerà pian piano a distinguere e a riconoscere questi oggetti. Questo garantisce al paziente una miglior interazione sociale e gli restituisce una certa autonomia nelle attività della vita quotidiana”.
Retina artificiale: quali i pazienti più adatti
“Per questo tipo di impianti – spiega il professor Rizzo nel comunicato del Gemelli – è fondamentale un’accurata selezione del paziente candidato, che viene inquadrato attraverso una serie di colloqui psicologici; questo serve a valutare sia le sue potenzialità di proseguire lungo un percorso riabilitativo che lo impegnerà a lungo, sia le sue aspettative. Perché questo impianto non va a restituire una visione normale ma una visione artificiale, ‘bionica’. Il paziente deve essere preparato al fatto che quello che vedrà è una ricostruzione attraverso dei fosfeni, dei lampi di luce, che vanno a comporre un’immagine pixelata. La visione d’insieme viene ottenuta dal lavoro dei 576 elettrodi presenti nel device, i cui parametri vanno tutti configurati con tanta pazienza, attraverso una speciale applicazione”.