sabato 23 Settembre 2023

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Infarto del miocardio: prognosi è peggiore se il sintomo dominante è dispnea.

I dati dello studio presentato all'Acute CardioVascular Care 2022

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Infarto miocardio: prognosi è peggiore con dispnea. Chi durante un infarto manifesta fiato corto ha più probabilità di morire rispetto a chi, come sintomo predominante, avverte solo dolore al torace o sincope. A dimostrarlo è uno studio presentato al Congresso Acute CardioVascular Care 2022, evento organizzato dalla Società Europea di Cardiologia (ESC), secondo cui il 76% dei pazienti infartuati con dispnea o sintomi di affaticamento sopravvive a un anno dall’evento, rispetto al 94% di quelli che, come sintomo predominante, avvertono unicamente dolore al torace.

Infarto miocardio: prognosi è peggiore con dispnea: lo studio

Lo studio si è concentrato sull’infarto del miocardio non ad elevazione ST (NSTEMI), un tipo di infarto nel quale un’arteria che fornisce sangue al cuore si blocca parzialmente. I ricercatori hanno utilizzato i dati del registro portoghese delle sindromi coronariche acute. Lo studio ha preso in esame 4.726 pazienti maggiorenni ricoverati con NSTEMI in un periodo di nove anni, che va da ottobre 2010 a settembre 2019. L’età media dei partecipanti allo studio era di 68 anni. Il 71% di loro erano uomini. I pazienti sono stati divisi in tre gruppi in base al loro sintomo predominante. Il dolore toracico era il sintomo di presentazione più comune: 4.313 pazienti, il 91% del totale. A seguire, la dispnea con 332 pazienti e la sincope con 81 pazienti.

I ricercatori hanno messo a confronto i tassi di sopravvivenza a un anno tra i tre gruppi sopraindicati. A dodici mesi dall’infarto, il 76% dei pazienti del gruppo dispnea era vivo rispetto al 94% del gruppo dolore al petto e al 92% del gruppo sincope. Durante l’anno successivo all’infarto, il 76% dei pazienti del gruppo dispnea/affaticamento ha evitato di essere ricoverato per un motivo cardiovascolare rispetto all’85% del gruppo dolore al petto e all’83% del gruppo sincope.

Le conclusioni.

L’autore dello studio Paulo Medeiros dell’ospedale di Braga, Portogallo, ha dichiarato: “I pazienti che presentavano mancanza di respiro o affaticamento avevano una prognosi peggiore di quelli con dolore toracico. Avevano meno probabilità di essere vivi un anno dopo il loro attacco di cuore e anche meno probabilità di rimanere fuori dall’ospedale per problemi cardiaci durante quel periodo di 12 mesi”. Medeiros ha poi spiegato: “La mancanza di respiro era più comune tra i pazienti che sono morti durante l’anno dopo il loro attacco di cuore. Tuttavia, quando si considerano tutte le variabili studiate, il tipo di sintomo presentato non era un predittore indipendente di mortalità, il che significa che non possiamo affermare specificamente che la mancanza di respiro era la ragione del risultato peggiore. La sopravvivenza peggiore può essere dovuta ad altri fattori in questi pazienti, come la ridotta funzione della pompa cardiaca. Questo studio evidenzia la necessità di considerare una diagnosi di infarto del miocardio anche quando il disturbo primario non è il dolore al petto. Questo può essere particolarmente importante per le donne e i pazienti più anziani dove la diagnosi potrebbe essere ritardata e portare a esiti peggiori. Oltre al classico sintomo dell’attacco cardiaco di dolore al petto, pressione o pesantezza che si irradia a una o entrambe le braccia, il collo o la mascella, le persone dovrebbero cercare aiuto medico urgente se sperimentano una prolungata mancanza di respiro”.

 

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