Tumore alla prostata: dall’intestino il via a nuove terapie. Identificato un nuovo meccanismo coinvolto nel rendere il tumore alla prostata resistente alla terapia antiandrogena. È legato al microbiota intestinale, cioè all’insieme di batteri che vivono nell’intestino e hanno il compito di aiutare il nostro organismo nelle sue funzioni biologiche quali l’assimilazione del cibo e il buon funzionamento del nostro sistema immunitario.
Il prof. Andrea Alimonti (Istituto Veneto di Medicina Molecolare, Università di Padova, Istituto Oncologico di Ricerca, Institute of Cancer Research di Londra,) spiega che: “L’assunzione di farmaci può portare alla cosiddetta “disbiosi”, una alterazione del microbiota in cui prevalgono batteri “cattivi” la cui attività è per noi dannosa”.
Il suo team, in collaborazione con l’Institute of Cancer Research di Londra, ha di recente pubblicato Science un lavoro sull’influenza che il microbiota può avere sulla una delle terapie più impiegate nel trattamento del tumore alla prostata: la deprivazione degli androgeni.
Il cancro alla prostata è il tumore maligno più frequente nell’uomo. Tra i fattori stimolanti la sua crescita vi sono in primis gli ormoni maschili (androgeni). È per questo motivo che spesso, nel trattamento del tumore alla prostata si utilizzano farmaci che bloccano la produzione di androgeni. “È dagli anni Sessanta che si usa questa terapia”, spiega Alimonti. “Purtroppo una buona parte di questi pazienti a un certo punto diventa resistente al trattamento”. E a quel punto la prognosi diviene più complessa.
Tumore alla prostata: dall’intestino il via a nuove terapie. Lo studio
Lo studio portato avanti dal team del prof. Alimonti, ‘Commensal bacteria promote endocrine resistance in prostate cancer through androgen biosynthesis’, ha dimostrato che il microbioma, in alcuni modelli animali ma anche nell’uomo, si arricchisce di specie batteriche particolari nei casi in cui si registra, appunto, una resistenza alle terapie anti-androgeniche. “Queste specie batteriche – spiega Alimonti – sono in grado di produrre androgeni partendo da alcuni precursori metabolici. Così facendo questi batteri sono in grado di stimolare la crescita tumorale, anche quando le terapie sono state in grado di eliminare gli androgeni prodotti dai testicoli e dalle ghiandole surrenali”. Questa fonte addizionale di testosterone va a ridurre l’efficacia della terapia.
La scoperta potrebbe rivelarsi di grande importanza. Il team del prof. Alimonti ha infatti dimostrato l’esistenza, nei pazienti, sia di batteri che favoriscono la produzione di testosterone sia di batteri che invece la contrastano. “La nostra scoperta – dice Alimonti – apre quindi la possibilità a strategie terapeutiche, che grazie alla manipolazione del microbioma, potrebbero annullare lo sviluppo di specie batteriche produttrici di androgeni. Stiamo già cercando partner industriali che siano disposti a darci una mano per verificare se questo sogno sia realizzabile”.