Disturbi d’ansia: l’osteopatia può ridurli? Oltre una persona su quattro ha sentito la necessità di rivolgersi a uno psicologo e una su cinque ha assunto psicofarmaci nell’anno 2020. È quanto emerge dal 33° Rapporto Italia Eurispes 2021 che ha indagato sul comportamento degli italiani rispetto al consumo di psicofarmaci e sul ricorso al sostegno psicologico nell’anno 2020, caratterizzato dall’emergenza Covid. Il rapporto rileva che il 19% degli italiani, cioè quasi uno su cinque, ha assunto farmaci come ansiolitici, antidepressivi, stabilizzatori dell’umore, antipsicotici e addirittura più di una persona su quattro si è rivolta a uno psicologo (27,2%).
Per chi ha avuto la sfortuna di sperimentare direttamente il virus, inoltre, studi scientifici rivelano che circa una persona su cinque ha disturbi psichiatrici tra 14 e 90 giorni dopo la diagnosi di Covid-19. Questo è il dato principale che risulta da un’ampia ricerca con uno studio su 69 milioni di cartelle cliniche delle quali 62.354 con diagnosi di Covid-19, condotta dal Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Oxford (USA), pubblicata sulla rivista The Lancet Psychiatric. In tale contesto, l’osteopatia può rivelarsi utile nel trattamento dei disturbi relativi all’ansia.
Ansia: come si manifesta?
L’ansia è un’emozione che si manifesta di fronte alla percezione di una minaccia e rappresenta una normale risposta di attivazione, fondamentale per prepararci ad affrontare il pericolo. Vista in quest’ottica, quindi, l’ansia non è qualcosa di negativo. Contrariamente a quanto si pensa, è una normale reazione del nostro corpo, che scompare nel momento in cui il pericolo ambientale è stato rimosso. Pertanto, le sensazioni spiacevoli che proviamo quando siamo esposti all’ansia sono la naturale conseguenza dell’adattamento del nostro corpo nei confronti dello stress e possono coinvolgere sia la componente psichica, sia quella fisica.
Ansia: i sintomi psichici
I sintomi psichici dell’ansia sono quelli più evidenti: tra di essi troviamo l’agitazione, il deficit di concentrazione e di memoria; la tendenza a rimuginare costantemente sul motivo della preoccupazione. Ad essi si accompagnano tutti quei sintomi fisici, corporei, come l’aumento della frequenza cardiaca, palpitazioni, insonnia, disturbi gastro-intestinali, sudorazione accentuata e tensione muscolare. Tutti questi sintomi, apparentemente sconnessi tra di loro, compaiono come conseguenza dell’attivazione del cosiddetto Stress System, una rete di strutture all’interno del cervello che si attivano, appunto, in situazioni di stress e che sono in grado di modificare il funzionamento del nostro corpo. L’attivazione di questo sistema dovrebbe avvenire soltanto in situazioni di reale necessità, motivo per cui esistono delle aree nella corteccia cerebrale, l’area più evoluta del cervello, che ne limitano l’attivazione nella vita quotidiana, fungendo da meccanismi di controllo.
Disturbo d’ansia generalizzato o disturbo di panico.
Situazioni di incertezza o di pericolo particolarmente intense e/o prolungate, come la pandemia da Covid-19, possono determinare un esaurimento di questi sistemi di controllo, e conseguentemente un’attivazione prolungata e “maladattativa” dei network dello stress e della paura. In questa condizione, l’ansia diventa disfunzionale, con risposte sproporzionate, persistenti o improvvise e spesso associate a eventi “neutri”, o comunque non pericolosi. L’ansia diventa in questo caso una vera e propria patologia e può assumere differenti nomi, come disturbo d’ansia generalizzato o disturbo di panico.
La pandemia da Covid-19 ha avuto dunque un forte impatto sulla salute mentale di ogni persona. Ha rappresentato una enorme fonte di stress per diversi motivi: dalla paura di contrarre la malattia, alle incertezze economiche, passando dai cambiamenti forzati delle proprie abitudini, fino alla perdita dei contatti sociali e alla costante preoccupazione per i propri cari. Questo senso di incertezza e di paura ha rappresentato un terreno fertile per lo sviluppo di sintomi psichici, tra cui ansia e depressione, ma anche di vere e proprie patologie psichiatriche. A conferma di ciò, nel mese di Aprile 2021 è stato pubblicato uno studio scientifico del prof. Giampaolo Perna della Humanitas University a cui hanno partecipato oltre 3.000 persone. Tale studio ha evidenziato un aumento della frequenza dei sintomi ansiosi del 21% e dei disturbi d’ansia in musura superiore al 10%, portando verosimilmente a soffrire di ansia patologica ulteriori 5 milioni di italiani.
Ansia: le categorie più vulnerabili
Tra le categorie più vulnerabili agli effetti psicosociali della pandemia troviamo le persone che contraggono la malattia e i loro parenti, i pazienti ad alto rischio, come gli anziani o coloro con situazioni di multi-patologia o di compromissione delle difese immunitarie, le persone con malattia psichiatrica pre-esistente e, non per ultimi, gli operatori sanitari che si sono trovati coinvolti in prima linea nella gestione della trascorsa emergenza sanitaria.
A contribuire al cambiamento dei propri ritmi vitali e delle proprie abitudini ci sono fattori legati alla quarantena, all’attività lavorativa o scolastica, alla diminuita attività fisica, all’alterazione del ritmo sonno-veglia e anche al cambiamento dell’alimentazione. Tutto ciò ha contribuito a influenzare negativamente la nostra salute, facilitando il sovraccarico dei nostri meccanismi di adattamento. L’ansia e i disturbi d’ansia vengono generalmente diagnosticati valutando la presenza di sintomi caratteristici, in genere tramite la somministrazione di questionari. Si valuta quindi se i sintomi riportati dal paziente rientrano nelle classificazioni presenti nei manuali di psichiatria.
Ansia: come misurarla?
Sebbene per la diagnosi di disturbi d’ansia sia fondamentale fare riferimento ai sintomi, esiste però un ulteriore esame diagnostico che è possibile eseguire per valutarne l’impatto sulla salute, ossia la misurazione della Variabilità della Frequenza Cardiaca (HRV). Questo esame, rapido e non invasivo, misura quanto l’attività del cuore sia in grado di variare in base al contesto ambientale, determinando se ci stiamo adattando efficacemente allo stress o meno. In effetti, i valori della HRV sono fortemente ridotti in presenza di ansia e di sintomi ansiosi ma, più in generale, lo sono in tutte quelle condizioni di “maladattamento” psichico, come sintomi depressivi, o fisici, tra cui l’infiammazione cronica o il dolore cronico. Al contrario, valori elevati di HRV sono correlati a una maggiore capacità di far fronte allo stress e di mantenere un buon livello di salute. La misurazione della HRV non è un esame nato in maniera specifica per l’ansia, ma ci consente di osservare i processi interni al nostro corpo, che, se alterati, possono influire negativamente sul nostro stato di salute.
Il trattamento dei disturbi dell’ansia.
Similmente a quanto concerne la diagnosi, anche il trattamento dell’ansia può essere affrontato con due differenti modalità: l’approccio più classico consiste nella gestione dei sintomi ansiosi attraverso farmaci specifici come gli ansiolitici, ma anche attraverso la psicoterapia, che mira a fornire al paziente strumenti per riconoscere, controllare e ridurre i sintomi dell’ansia. A fianco della gestione dei sintomi è tuttavia possibile intervenire cercando di potenziare le capacità di far fronte allo stress, migliorando il funzionamento dei sistemi del nostro corpo, in particolare del nostro cervello, che ne regolano le risposte.
Disturbi d’ansia: l’osteopatia può ridurli?
Immagine CIO – Collegio Italiano di OsteopatiaDisturbi d’ansia: l’osteopatia può ridurli? L’osteopatia sembra agire proprio in questa direzione: numerosi studi scientifici hanno infatti dimostrato che il trattamento manipolativo osteopatico determina non soltanto un incremento dei valori della HRV, ma anche una variazione dell’attività di aree del cervello coinvolte nella regolazione dei meccanismi di adattamento allo stress. Inoltre, alcuni studi preliminari hanno mostrato un potenziale effetto dell’osteopatia nei confronti dei sintomi ansiosi (Dixon 2020, Edwards 2018). Questi effetti del trattamento sulle capacità adattative della persona si conciliano bene con la visione dell’osteopatia da parte del suo fondatore, Andrew Tailor Still. Egli riteneva infatti che l’obiettivo dell’osteopata fosse quello di determinare, attraverso il suo intervento manipolativo, un miglioramento delle capacità di auto-regolazione e auto-guarigione del paziente, e conseguentemente, della sua salute.
Gli studi scientifici sembrano confermare questo ruolo dell’osteopatia, indicando che il trattamento manipolativo osteopatico determina effetti ben più profondi del semplice trattamento muscolo-scheletrico. In quest’ottica, l’osteopatia potrebbe dunque rivelarsi una risorsa efficace nei confronti dei sintomi ansiosi, sopratutto in questo particolare periodo storico legato alla pandemia, da un lato incrementando le capacità della persona di far fronte allo stress e dall’altro contribuendo a mitigarne gli effetti non solo a livello fisico, ma anche a livello psichico.
Nicola Barsotti
Osteopata, Laurea Magistrale in Scienze Riabilitative, Fisioterapista. Socio Fondatore C.M.O. Centro di Medicina Osteopatica e Terapie Integrate, docente a contratto Università dell’Aquila, Membro del Direttivo Nazionale SIPNEI, Coordinatore della Commissione Nazionale di Ricerca Discipline Corporee SIPNEI, Docente presso il C.I.O. Collegio Italiano di Osteopatia, Membro C.O.M.E. Collaboration Onlus.
Alessandro Casini
Osteopata, laureato a pieni voti in Fisioterapia nel 2011110/110 lode. Diplomato al Collegio Italiano di Osteopatia nel 2017. Dal 2017 coordina l’attività regionale toscana della Come4Children, una organizzazione no-profit che si pone come mission la diffusione del trattamento osteopatico in età pediatrica. Collabora con il CMO Centro di Medicina Osteopatica di Firenze.