Vitamina D e rischi fratture: la SIOMMS prende posizione contro i dati del recente studio. Continua a far discutere lo studio pubblicato di recente dalla rivista scientifica New England Journal of Medicine inerente all’apporto della Vitamina D nella riduzione del rischio di fratture. L’analisi ha valutato la supplementazione con vitamina D3, nella riduzione del rischio di fratture rispetto al placebo. Gli endpoint primari erano le fratture incidenti totali, non vertebrali e dell’anca. In questo studio condotto tra adulti di mezza età generalmente sani, la supplementazione con vitamina D3 non ha apportato un effetto significativo sul numero di fratture totali: 769 su 12.927 per coloro che hanno assunto la vitamina D3, 782 su 12944 per i componenti del gruppo placebo. La conclusione dello studio, secondo i suoi autori, dimostra che l’integrazione di vitamina D3 non comporta un rischio inferiore di fratture rispetto al placebo. Queste conclusioni, sulla sostanziale inutilità dell’integrazione di Vitamina % per la riduzione del rischio di fratture, hanno avuto risonanza a livello mondiale e gli esperti italiani invitano a una analisi maggiormente approfondita e corretta della ricerca.
Vitamina D e rischi fratture: la SIOMMS prende posizione contro i dati del recente studio
Iacopo Chiodini, professore di Endocrinologia all’Università degli Studi di Milano e presidente della SIOMMMS, ha commentato: “Il reale problema è il tipo di obiettivo scelto, che è metodologicamente sbagliato. In sostanza i risultati dicono semplicemente che, se sei sano, non hai l’osteoporosi e non hai deficit di vitamina D, la supplementazione non serve a ridurre il rischio di qualsiasi frattura, non solo da fragilità”. Successivamente, il professore ha aggiunto: “Infatti se voglio sapere se un farmaco previene una malattia lo devo testare in soggetti a rischio di avere quella malattia. Non mi posso aspettare che un agente farmacologico funzioni se lo somministro a chi non ne ha bisogno. Quindi, era prevedibile che sommnistrare vitamina D, come in questo studio, a soggetti non carenti e non a rischio di frattura non portasse ad alcun effetto in termini di riduzione del rischio di frattura”.
Chiodini prosegue:” Di fatto i risultati di questo studio non hanno alcuna rilevanza per coloro che sono carenti di vitamina D. Alla luce delle evidenze emerse dai numerosi studi condotti in maniera metodologicamente corretta, è importante ricordare che il deficit di vitamina D nei soggetti con osteoporosi si associa a un aumento del rischio di frattura e, viceversa, che un’adeguata supplementazione con vitamina D nei soggetti carenti, associata a un adeguato introito di calcio, riduce il rischio di qualsiasi frattura”.
Il comunicato del Gruppo Italiano Bone Interdisciplinary Specialist
Anche il Gruppo Italiano Bone Interdisciplinary Specialists ha inviato un comunicato ai propri soci, dichiarandosi in linea con il pensiero del presidente della SIOMMMS.
Baha Arafah, professore di medicina presso la Case Western Reserve University e capo della Divisione di Endocrinologia presso l’University Hospital di Cleveland, Ohio, anche se non coinvolto nello studio, ha commentato: “Questi dati non significano che i medici dovrebbero smettere di pensare alla vitamina D. Penso che sarebbe il messaggio sbagliato da leggere. Se leggi l’articolo, scoprirai che ci sono persone che hanno bisogno di Vitamina D, ovvero quelle che ne sono carenti. Suggerirei – prosegue Arafah – di non integrare la vitamina D in modo indifferenziato. Userei i marcatori della formazione ossea come parametro per stabilire chi necessita o meno di vitamina D, in particolare osservando l’ormone paratiroideo”.